Chissà perché la lettura di “Primi anni a WDC”, il bel libro di Francesca Andreini, a me ha fatto venire in mente un grande classico della letteratura italiana: “Il barone rampante” di Italo Calvino. Lo stesso autore di “Lezioni americane”. C’è certamente la freschezza del racconto e della scrittura agile e disincantata. Ma probabilmente c’è anche qualcosa d’altro. Sullo sfondo del racconto di Calvino c’è l’Europa della Rivoluzione francese e dei fatti che seguirono fino alla Restaurazione. Sullo sfondo di quello della Andreini ci sono le crisi, le difficoltà del ceto medio in Italia in Europa, in America, più in generale nell’Occidente tradizionale.

E così  Cosimo Piovasco di Rondò dagli alberi della foresta di Ombrosa si trova quasi inavvertitamente al centro di avvenimenti che cambieranno l’Europa e il mondo. Vicende che il racconto del fratello Biagio sfiora con accorta lievità. Una strada analoga segue Francesca per spiegarci, attraverso le sue impressioni sulle cose e soprattutto i suoi incontri e i suoi dialoghi con le persone, una America che fa i conti anche con le crisi. E se il punto di vista di Cosimo passa per il giardino di famiglia prima e per quello che può guardare e incontrare senza mai scendere dagli alberi, quello di Francesca parte dalla capitale degli Stati Uniti d’America e metaforicamente per molto tempo del mondo, per svilupparsi proprio con la grande capacità (tutta italiana) di avere curiosità per tutto quello che ti accade attorno.

Francesca, oltre che scrittrice è una giovane signora italiana madre di tre figli adolescenti, che ci racconta la sua America per concludere che l’America è quella che si ha in testa. La sua “è la torre preziosa piena di gioielli che galleggia sopra la realtà, ed è fatta delle cose in potenza. Il sogno che ci spinge verso il meglio, facendocelo desiderare. L’America è tutta nella mia testa, è potente e infinita, presente e futuro, bellissima”.

Ma accanto ai sogni c’è anche e soprattutto la realtà e così Francesca ci racconta del vicino di casa costretto a lasciare con la sua famiglia la bella casa che gli è stata pignorata. Il tutto mentre le stesse accadono anche in Italia: dove talvolta la perdita del lavoro conduce al suicidio.

Il racconto del libro di Francesca riguarda due anni tra il 2010 e il 2012. Da allora non credo le cose siano migliorate né nell’Italia dei sovranisti, né nell’Europa sempre meno unita, né nell’America di Trump. Né quindi dell’Occidente in generale. Potrebbe essere lo sfondo, magari malinconico, di un altro bel libro.

Guido Compagna.