REGALO EDENICO

Siamo nell’Eden, in mezzo a un incanto di fiori, ruscelli, prati verdi e alberi carichi di ogni bene. Da uno di questi il famoso serpente si sporge, sinuoso, tenendo in bocca un frutto rosso, lucido, succoso. Lo porge a Eva… maturo e pure proibito… Ovviamente lei lo acchiappa al volo e se lo porta via. Oppure lo consuma lì per lì… su questo non c’è chiarezza nelle fonti. Comunque è questo il primo regalo della storia.

Eva, mangiata la mela, si accorge che forse l’ha combinata più grossa del previsto. Si è macchiata e ha trascinato con sė quel babbeo di Adamo. Via dall’eden bello, tranquillo e facile, eccoli sulla terra, a faticare per guadagnare il pane e partorire con dolore… e che dolore!

La mela, insomma, era un regalo, sì, ma avvelenato!

Ecco, mi pare che la stessa cosa si può dire dei regali di oggi. Tutti.

Sono doni avvelenati perché, per ogni regalo, ci sono due scontentezze abbinate. Quella di chi s’è dovuto sobbarcare il compito di andarlo a comprare, code, resse, soldi buttati, e quello di chi ora deve trovargli un uso di un qualche tipo, al gradito regalo.

Perché i regali veri, quelli a sorpresa, sono cronache di insuccessi annunciati. Non è possibile sapere i libri che hai già letto. Tutti. E indovinare il profumo che ti piace. Proprio quello. O il film che non hai ancora visto, la musica che non hai mai ascoltato, il maglione di cui hai bisogno… no, parliamo seriamente: i regali riusciti sono quelli dove voi stessi o un altro membro della famiglia avete fatto delle soffiate. Avete trovato il modo, a volte incredibilmente contorto, di far sapere cosa davvero volete. ma questo non è un vero regalo! Questo è un fare del bene, è un obolo pro realizzazione dei desideri, un incentivo sui consumi. Ci dovrebbe ringraziare lo stato, per un regalo così.

Per gli altri, ci ringrazia il cassonetto. O l’angolo più nascosto dell’armadio, lo scaffale della cantina, il lato basso della soffitta… ma, sopratutto, il nostro lato oscuro, bieco, taccagno e ingrato. Che ci fa subito fare calcoli mentali meschini, simulazioni d’acquisto improprie (chissà a quale discount l’ha presa, ‘sta roba) e, infine, pianificare il perpetuarsi dell’ignominia per cui, accecati da un insano desiderio di rivalsa, mettiamo via l’oggetto inutile con il turpe proposito di rifilarlo a qualcuno, il Natale dopo.

Allora, io dico, non sarebbe meglio un Natale senza regali? Percorso netto, niente a nessuno, lisciooooo….. dalla vigilia si zompa fra un panettone e un cotechino direttamente a Santo Stefano. Vischio, baci, abbracci e tanti auguri.

Ma torniamo un momento ai nostri antichi progenitori. Adamuccio e Evetta belli. Ripensiamo al loro stato idilliaco nel grande giardino della perfezione. Alle loro giornate che scorrevano tranquille: ve li immaginate lì, fra i ruscelletti, le piante cariche di frutti e gli animali docili… una sfilza infinita di ore; interminabili momenti, tutti perfetti e uguali… ma che palle.

Diciamocelo chiaro, senza il serpente non c’era niente. Due mosci che saltellavano nell’eden tirato a lucido, e basta. Lo zen e l’arte di annoiarsi a morte.

Pensate a questo, quando Zia Gertrude vi rifila il maglioncino che la cognata della cugina del suocero le aveva rifilato l’anno prima. Prendetelo dalle sue nelle vostre mani e sorridetele, ringraziatela e baciatele le guance. Una, due, ecco, così va bene. Perché senza quel pacchetto fra le mani, senza i commenti, i frizzi lazzi e sgomenti che i regali portano con sé, diciamoci la verità: il Natale sarebbe una paradisiaca noia.