IMMAGINI
Il Prof. Paolo Euron ed io, nel 2019, abbiamo organizzato un concorso letterario sul tema dell’identità culturale, e raccolto i racconti vincitori nell’antologia: Storie dell’Est, storie dell’Ovest. La mia introduzione all’antologia è stata a sua volta un piccolo racconto, perché desideravo introdurre direttamente il lettore nell’atmosfera di Bangkok, volevo mostrargli alcune delle “immagini” che mi erano arrivate attraverso i racconti dell’antologia, o che io stessa vedevo intorno a me.
I grattacieli, tutto intorno, riflettono la luce piatta di un cielo coperto, che cova uno dei frequenti acquazzoni di Bangkok. Nella casa bassa, antica dove abito io, arriva il frastuono della metropoli che si affanna a lavorare, produrre, spendere. Onde di un respiro che pompa flussi di auto, persone, motorini, autobus e metropolitane. Più forte e più lento, a seconda delle ore. I vigili fischiano, gli addetti ai parcheggi sventolano le bandierine per favorire le manovre di chi vuole entrare o uscire dalla corrente. Davanti a casa mia, scintillano le vetrine di un grande magazzino. Attraversato da tanta gente, rimane aperto fino a tarda ora.
Sullo schermo del mio computer si aprono storie di un Oriente lento e calmo, saggio, pacifico. Un Oriente che sa, che ci potrebbe insegnare, se solo ci fermassimo ad ascoltarlo. Misterioso, sfuggente. Sacro, in qualche modo, e inarrivabile. Le storie di un Oriente visto dall’altra parte del globo.
Un’ambulanza suona la sua disperazione, bloccata in mezzo al traffico.
Eppure per strada nessuno usa il clacson. Nessuno grida, si arrabbia, scalpita contro la malasorte. Ognuno viaggia con il suo pacchetto di vita in tasca, e non sembra cercare briga con le vite degli altri. Non sembra invidiarne o pretenderne niente. Ognuno fiero del proprio paese. Fiero delle proprie mansioni. Del cibo, venerato. Dei paesaggi sempre belli, anche quando noi Europei li troviamo deturpati.
I Thailandesi, nella vita quotidiana rifuggono dal passato architettonico, adorano il nuovo e il moderno. Mi trovo sola, a volte, ad incantarmi dei pochi angoli di antico rimasti in giro per i quartieri. Sola straniera con, intorno, Thailandesi gentili che mi sorridono stupiti. Chissà perché sta qui, questa farang1.
Sta qui per scoprire come collocare le immagini dei racconti che legge, immagini che sono anche le sue. E capire se hanno ancora un loro piccolo spazio nella realtà.
Sullo schermo del computer si aprono adesso le storie scritte in Oriente. Una narra di un Thailandese frettoloso, che impara da un Italiano la rara arte di staccare dalla frenesia quotidiana.
Guardo il cielo greve di pioggia lontana. E la città, sotto, dove chissà quante persone stanno immaginando l’Occidente. Dall’altra parte del globo. C’è un movimento fuori, nel mio giardino. Attraverso l’esplosione rossa dei fiori dell’albero della pioggia vedo una donna minuta con una coroncina di fiori in mano. Giunge le mani, si inchina, e la appende ai piedi della piccola costruzione in miniatura in cui dimorano gli spiriti della casa.
1 Straniero occidentale.