AMORI DI PAGLIA

amori di Paglia

IL FOCOLARE

I bei quartieri residenziali sono tutti belli nello stesso modo, quelli brutti lo sono ognuno in un modo diverso.

Questo che aspetta il Natale sotto uno strato uniforme di foschia, in mezzo alla Valdorna, è brutto perché troppo nuovo, tagliato da strade regolari, fatto di casette a due piani (più ampio seminterrato) così uguali fra loro che i proprietari, siccome abitano lì tutti da poco, spesso si confondono, e pasticciano con le chiavi tentando di aprirci la serratura sbagliata.

Adesso è quasi Natale e alcune casette hanno messo le lucine colorate intorno agli stipiti  delle finestre o sopra gli scheletri scuri degli alberi. Alcune hanno una ghirlanda di sempreverde appesa alla porta di entrata.

Molte case invece sono al buio. Sono ancora invendute, ché l’imprenditore non aveva fatto bene i conti con la crisi del mattone, e adesso ha tutte queste belle schiere di villette con gli intonaci ogni mese un po’ meno brillanti, ogni stagione un’erbaccia in più nei giardini, un velo di patina sui portoni, un tocco di ruggine sulle cancellate. 

In una casa a due piani nel centro della scacchiera semivuota le luci sono tutte accese. Dal comignolo svetta verso il cielo il fumo di un tiraggio perfetto.

Viene da un camino con una grata scintillante e ceppi regolari impilati sopra. Sono stati accesi in modo rapido, con l’aiuto di una sostanza chimica, e adesso la fiamma guizza senza crepiti. Produce una luce calda che però si perde in quella bianca e intensa sparata dai faretti del salotto. 

Mobili lisci, pavimenti lustri, pochi oggetti di design essenziale qua e là. Spoglio e razionale, aromatizzato dai profumatori d’ambiente, sarebbe un ambiente zen se non fosse per la cucina troppo vicina; un cucinotto che accede direttamente alla zona pranzo del salotto e invade lo spazio con vapori e odori pesanti.

È la vigilia di Natale, sul fuoco sobbolle la zuppa di pesce e nel forno cuoce un’orata di due chili. La ratatouille è quasi pronta; sarebbe anzi tempo di toglierla dal fornello, ma nessuno se ne sta occupando.

 

LUI

E adesso che fa?

Da mezz’ora che si prepara. “Vado un attimo su”, e lascia tutto sul fuoco, come sempre. Non ha la testa, da un po’, lascia tutto a metà.

Come quando facciamo l’amore… ieri sera, che cazzo le ha preso? Le ho chiesto che aveva e lei ha fatto finta di lasciarsi andare, che aveva chiuso gli occhi per lasciarsi andare. Ma invece se n’era andata proprio, stava con la testa da un’altra parte. E siamo rimasti a metà.

“Orietta! Orietta c’è odore forte, devo spegnere qualcosa?”.

Mica si degna di rispondere.

Ok, tocca alzarsi. Mi ero appena messo sul divano a guardare la tele… mi ci sarò seduto un paio di volte, da quando siamo traslocati qui. E lei che dice che ci sto tutto il tempo. Magari.

Che sta dicendo?

“Hai detto qualcosa? Non sento…”.

Che odore, questa verdura è bruciata, altro che. Qual’è la manopola del fornello? Che cazzo, non capisco mai quale devo girare… ecco, ora ho spento l’altra pentola! Vabbè, le spengo tutte, tanto mi sa che ci siamo.

“Oddio, Orietta!”.

Cazzo, mi è arrivata dietro all’improvviso; per poco mi viene un infarto!

“Amore, non ti ho sentito arrivare…”.

Ma… s’e vestita…? Piumino, cappello, stivali. E le valigie in mano… che succede?

“Io… me ne vado, Aldo”.

“Tu… tu cosa?”.

Non è possibile… è uno scherzo, sicuro, adesso mette giù le valigie, si spoglia, va ai fornelli a controllare il casino che ho fatto e mi dice “ci sei cascato, eh?”.

Ecco, ha appoggiato le valigie in terra. Sono leggere, sono sicuramente finte… rido, le fisso e rido.

Rido da solo.

Smetto.

“Devo andarmene, non resisto più”.

Com’è pallida… non mi guarda… no, non è uno scherzo.

“Orietta, ma come puoi? È la vigilia… Ori, guardami”.

“Mi dispiace, Aldo, non sai come mi dispiace…”.

Cazzo, piange. Allora è una cosa vera. Una cosa pensata prima… Da quanto?

“Orietta, ti prego…”.

“Non cercare di fermarmi, Aldo. Ho deciso”.

Non è possibile, questo è un sogno. Ora mi cade di mano il telecomando e mi sveglio, sul divano; Orietta è in cucina, sta spegnendo i fornelli, tira fuori il pesce dal forno… il pesce!

“Il pesce!”.

“Che dici?”.

Corro in cucina, apro il forno e una folata di puzza bruciata mi si spara addosso.

“Ori, aiutami!”.

Tiro fuori un tizzone ardente che sfrigola come se fosse incazzato di essere stato dimenticato nel forno. Lo poso sull’acquaio ma so che non devo aprire l’acqua, sarebbe un errore madornale. E non è il momento degli errori madornali, questo. 

Apro la finestra e mi succhio un po’ di freddo pulito. Prendo una boccata più lunga e torno da Orietta. Non si è mossa. Ha ancora il piumino tirato su fino al collo, il cappello di lana in testa, un borsone e un trolley ai piedi. Gli stivali sono quelli caldi…

“Ma dove vai?”.

“Aldo io… io… ho qualcuno da cui andare”.

Piange.

Lei.

“Qualcuno? No… Non puoi, Orietta…”.

“Aldo ti spiegherò tutto… un altro giorno, ti giuro, ci vediamo e ti spiego tutto. Adesso però lasciami andare”.

“Ma… così…?”.

Così facile. 

Me ne vado. Ho un altro. Finito.

Tre frasi…

“Ti prego, Ori, no…”.

“Sono io che ti  prego, Aldo. Non provare a trattenermi”.

“Non così in fretta. Dammi un po’… dammi qualche giorno”.

Non mi risponde nemmeno. Mi fissa e chissà dove sta con la testa. Come sempre, lascia anche l’addio a metà. Non si può mai finire niente con lei.

“Ti prego, ho bisogno di tempo… una settimana, Orietta, una sola!”.

E adesso singhiozza ma mica si ferma. Prende il borsone in una mano, il manico del trolley nell’altra e se ne va.

Le apro la porta, la vedo camminare sul vialetto. Svelta. Sa dove andare, ci sta andando. Tre frasi ci volevano. 

Lei le ha dette.

 

LEI

È ora, inutile rimandare.

È da mezz’ora che sono salita. “Vado un attimo su”, e ho lasciato tutto sul fuoco, non posso aspettare ancora.

Del resto è inutile continuare così. Lo sa anche lui, lo ha capito benissimo. E questa cena intima della vigilia… che sbaglio. Ma cosa pensavo di fare? Nemmeno si è accorto. Tutto in ordine come piace a lui, tutte quelle cose buone da mangiare… e si è messo alla tele, come sempre. Non so perché faccia finta di niente. Perché vuole continuare in questo modo…. Che odore, qualcosa sta bruciando; chissà se si degnerà di toccare i fornelli, per una volta.

“Orietta! Orietta c’è odore forte, devo spegnere qualcosa?”.

Inutile rispondergli, tanto sto scendendo.

E se nel frattempo va tutto a fuoco tanto meglio, vuol dire che succede qualcosa di eccitante, per una volta.

“Lascia che bruci!”.

Che parlo a fare col rumore delle pentole che copre tutto?

“Hai detto qualcosa? Non sento…”.

Non senti, non vedi, non parli, marito mio. Hai voluto venire qui, in questo quartiere lontano da tutto… e poi ti lamenti che sei stanco, che ci metti ore ad andare in ufficio. Tu non riesci a prevedere mai niente. 

“Oddio, Orietta!“.

Appunto. 

Che faccia che fai… sei quasi pallido. Non ti aspettavi che ti arrivassi alle spalle, di vedermi vestita, con le valigie… non ti aspettavi che facessi qualcosa di insolito, per una volta. Cosa dici? Mi hai chiesto qualcosa ma non mi importa di capire, tanto ti direi sempre la stessa frase.

“Io… me ne vado, Aldo”.

“Tu… tu cosa?”.

Non ci credi, ovvio. Tu le cose le vedi sempre dopo, mai prima, e nemmeno mentre succedono. Sei un bambino, in realtà. Un bambino che nega la realtà. Ecco, adesso provi a ridere. E io che dovrei fare? Mettere giù le valigie, spogliarmi e dire: “Era uno scherzo, ci sei cascato!”

Vedo che ci vorrà un po’ di tempo, per farti capire; meglio appoggiare davvero le valigie in terra. Del resto sono leggere, le posso riprendere in qualsiasi momento. Le ho fatte di impulso, giusto il tempo di buttar dentro l’indispensabile… Ride, le fissa e ride. Non hai niente da ridere, marito mio. Ecco, lo hai capito anche tu, adesso. Sei pronto ad ascoltare.

“Devo andarmene, non resisto più”.

Non è facile. Lo immaginavo, ma speravo di controllarmi meglio… invece non riesco a guardarlo. Ho freddo.

Ecco, di nuovo non sento cosa dice… ma tanto, di nuovo, sono capace solo di balbettare

che mi dispiace… E adesso mi viene anche da piangere… Cretina. Cretina, che sono.

“Orietta, ti prego…”.

“Non cercare di fermarmi, Aldo. Ho scelto”.

Questi occhi smarriti… da dove vengono? Se fossero sempre così, quando mi guardi, non saremmo qui. E invece sei sempre preso dalle cose pratiche, dal quotidiano più banale. Se ora tu dicessi qualcosa di bello, qualcosa di definitivo…

“Il pesce!”.

“Che dici?”.

Ma certo, ti preoccupi del pesce. Eccoti a correre in cucina. Che credevo?

“Ori, aiutami…”.

Nemmeno se stesse andando a fuoco la casa, ti aiuterei. Ho perso anche troppo tempo. Troppi pensieri, troppe notti insonni. Ora che finalmente ho deciso non ha senso ritardare ancora. 

“Ma dove vai?”.

“Aldo io… io ho qualcuno da cui andare”.

E queste lacrime, da dove mi vengono? Le lacrime, ora, non posso permettermele. Ci ho pensato tanto, è l’unica spiegazione che lui può capire. Se dicessi la verità, se sapesse che preferisco la solitudine, non accetterebbe di lasciarmi andare. 

“Qualcuno? No… Non puoi, Orietta…”.

“Aldo ti spiegherò tutto… un altro giorno, ti giuro, ci vediamo e ti spiego tutto. Adesso però lasciami andare”.

“Ma… così…?”.

La bugia ha funzionato. Gli sembro una donna decisa. Gli sembra di non avere più speranza.

“Non così in fretta. Dammi un po’… dammi qualche giorno”.

Ti ho dato due anni. Ti ho dato lunghissime serie di momenti nei quali non succedeva assolutamente niente… cosa vuoi che cambi, adesso, in qualche giorno?

“Ti prego, ho bisogno di tempo… una settimana, Orietta, una sola!”.

Una settimana… che richiesta assurda. Vuoi quantificare anche il dolore? Pensi che in una settimana starai meglio? Una settimana ti basterà a mettermi alle tue spalle?

Le lacrime. Sono queste che ti fanno insistere, ti fanno credere di poter avere un appiglio. Perché pensi che io stia piangendo per te. 

Il borsone in una mano, il manico del trolley nell’altra. Non ci saranno altri momenti fatti di niente, marito mio.

Aria fresca sulla faccia, il pavimento del vialetto sotto i miei passi veloci. Non provi nemmeno a fermarmi, nemmeno mi segui… Non voglio sapere perché. Non voglio voltarmi, fermarmi, non voglio rallentare di un secondo. 

Questa strada buia, questo silenzio, le finestre chiuse della casa accanto. La casa dove hai cercato di entrare per sbaglio, e ti ho trovato sul pianerottolo con l’aria imbarazzata… Via.

 

L’ALTRA

Non hanno messo le decorazioni nemmeno quest’anno. 

Certo, lui sta tutto il giorno fuori a lavorare, e lei corso di yoga, scuola di cucina, parrucchiere. Mai una giornata in casa. E la spesa in città tutti i giorni, nemmeno fossero in dieci, lì dentro. Invece sempre soli. Per forza, chi ci vuole stare in un posto così? Poi lei non c’ha la testa. Da un po’ è proprio fuori, sempre distratta. Ieri s’è dimenticata un sacchetto della spesa accanto alla macchina, per terra. Se non glielo portavo io stasera non c’avevano nemmeno la cena della vigilia.

E in due anni che siamo vicini è la prima volta che sono entrata, per porgergli il sacchetto. Che tristezza di casa. Non c’è nemmeno l’albero di Natale. Nemmeno una decorazione… non dico un albero grande come il mio, il presepe e le candele dappertutto, ma almeno un tappetino con scritto “Auguri”, una stella di Natale… 

Da quando Sergio se n’è andato, io la curo ancora di più, la casa. Lui ci teneva tanto…  capace di dare di matto, se vedeva anche solo un oggetto fuori posto. E allora, uno dice, quando poi è morto ti riposi, no? Invece se uno si lascia prendere dalla pigrizia chissà dove finisce… c’è da perderci la testa. Sempre più tristi e soli, si diventa. Allora qualche decorazione, un po’ di attenzione e la tristezza resta fuori dalla porta. Che ci vuole?

Da loro, niente. Luci sparate al massimo e basta. E lui che guarda la tele sul divano. Così stavano messi quando sono entrata. E sono sicura che stanno così anche stasera, la vigilia di Natale. 

Lei nemmeno si degnerà di scendere, sicuro. Due pentole sul fuoco e poi a farsi i cavoli suoi, come sempre. Mi pare di vederla. Chissà che ci avrà trovato lui in quella lì per sposarsela. Rigida che nemmeno un palo segnaletico.

Una bella noia di vicini, per quasi due anni. Non fosse stato per quella volta che lui si è sbagliato e ha cercato di entrare qui… che faccia ha fatto, quando ho aperto! “Scusi, scusi, queste case tutte uguali…” e mica si aspettava di avere una vicina così giovane. Gli è cascata la faccia. A bocca aperta mi è rimasto, amore… e meno male che ti sei sbagliato, quella volta. Così la vita ci è cambiata a tutti e due. E potrebbe essere ancora meglio se solo tu… 

Ehi, ma che succede?

Quanto fumo che esce dalla loro casa… dalla finestra della cucina esce un fumo nero come la pece… pesce. Si, pesce. La puzza di bruciato arriva fino a qui. Scosto un po’ le tende, tanto anche se si accorgono che li guardo, questa volta non c’è niente di male: non sarò l’unica nei paraggi ad affacciarsi per vedere che cavolo combinano.

Ma… lei esce? Esce con le valige! A testa bassa, sembra che stia piangendo… Non ci posso credere, le ha parlato davvero… l’ha fatto! 

Allora ha funzionato! Ma non pensavo che l’avrebbe fatto così presto… una settimana, gli avevo detto. “Una settimana o fra noi è finita. Devi scegliere, o me o lei.” 

Che meraviglia. È finita di vedersi come due ragazzini e poi lui che scappa via appena sente l’auto di lei sul viale… che per poco ci beccava, quella volta e a lui gli è toccato far finta che si stava sbagliando di casa. Solo un giorno si è sbagliato davvero, e ci ha cambiato la vita… amore mio, che meraviglia.

Ora ti lascio riposare un po’ e poi vengo da te. Porto delle decorazioni, già che ci sono. Mica possiamo fare la vigilia in quello squallore di salotto che hai… oppure vieni qui… certo. Questa è un’idea! Ci facciamo un Natale qui, io e te, in questo salotto così accogliente. Con l’albero e il presepe, e tutte le candele accese…

Adesso vengo da te e ti porto qui. Ecco sì, vedrai che bel Natale che passiamo. La tavola è già apparecchiata e ho così tante cose buone, pronte… la casa profuma che nemmeno un ristorante. Sentirai che bontà. Eravamo già quasi a tavola, sai? Avevamo quasi iniziato la cena. Beh, solo io avrei mangiato, in realtà. Ma lo avevo messo vicino per avere un po’ di compagnia. Lo metto tutte le sere, da quando è morto. È impagliato, leggero, non ci vuole niente a spostarlo…

Allora adesso sposto Sergio giù in cantina e apparecchio per te, amore.